ARTEMISIA DI ALICARNASSO, COMANDANTE NAVALE
Le donne sono sempre state presenti nella storia militare, prima al seguito dei grandi eserciti con mansioni logistiche, poi in corpi ausiliari. Solo da pochi decenni le vediamo impegnate operativamente al fianco degli uomini in missioni belliche. In Italia il servizio militare femminile effettivo, su base volontaria, è stato introdotto con la legge 20 ottobre 1999 n. 380. Ciò ha fatto del nostro Paese l'ultimo membro della Nato a consentire l'ingresso delle donne nelle Forze armate.
Le donne oggi sono presenti all'interno di tutte le Forze armate italiane e nella Guardia di Finanza, ed impiegate anche nelle missioni militari all'estero. Prima del 2000 il loro impiego in guerra era previsto solo nel Corpo delle infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana, nato nel 1908, e nel Corpo delle infermiere volontarie dell'ACISMOM nato nel 1940.
Da poco abbiamo anche il primo comandante donna di una nave militare, il tenente di vascello Catia Pellegrino, 37 anni, originaria della provincia di Lecce. Questo ci porta rapidamente fra le prime Nazioni ad aver realizzato, in questo settore, una reale parità fra uomini e donne. Infatti le prospettive di carriera di una donna all’interno delle Forze armate italiane sono perfettamente identiche a quelle degli uomini. Quanto prima avremo anche Ammiragli e Generali donna e, perché no, forse un Capo di Stato Maggiore donna.
Meglio tardi che mai! Tuttavia le donne in armi non sono una novità dei nostri tempi, anzi nei tempi antichi(VI/V secolo avanti Cristo) possiamo riscontrare eccellenti esempi di donne soldato, o meglio condottiere. È questo il caso emblematico di Artemisia di Alicarnasso o Artemisia I di Caria, che dopo la morte del marito, di cui ignoriamo il nome, divenne sovrana delle città di Alicarnasso, in Asia minore, e dei territori annessi di Coo, Nisiro e Calinda.
Questa donna è ricordata soprattutto per la sua partecipazione alle battaglie di Capo Artemisio e di Salamina (480 a.C.) come alleata dell'Impero persiano contro la coalizione greca, nel corso della seconda guerra persiana. Artemisia, unica donna col grado di Comandante nella flotta di Serse, era alla guida di cinque triremi. La condottiera, il cui nome deriva dalla dea della caccia Artemide, nacque da Ligdami I di Alicarnasso e da una donna cretese, della quale non conosciamo il nome.
Alla morte del marito, Artemisia salì al trono come tutrice del figlio Pisindeli , a causa della sua giovane età. Il suo regno, che dipendeva formalmente dall'impero persiano, si estendeva per la regione della Caria, nell'odierna Turchia, e comprendeva la capitale Alicarnasso, la città alleata di Calinda e le isole di Coo e di Nisiro. Da regina, Artemisia evidentemente preferiva la navigazione e la guerra alla vita di corte e sembra fosse donna senza scrupoli e dotata anche di grande scaltrezza. Secondo alcune testimonianze di quei tempi sembra che, quando Serse chiese agli abitanti dell'isola di Coo di sottomettersi a lui, avendo ricevuto un netto rifiuto, inviò Artemisia a conquistare l'isola.
Quando Serse I di Persia invase la Grecia nel 480 a.C., dando inizio alla seconda guerra persiana, Artemisia partecipò alla spedizione in quanto alleata e suddita del gran re. La regina era al comando delle sue cinque triremi e si unì al resto dell'imponente flotta persiana, che contava oltre mille navi. Secondo Erodoto, Artemisia era l'unica comandante di sesso femminile di tutte le forze armate radunate da Serse e le sue triremi avevano la miglior reputazione di tutta la flotta.
Artemisia partecipò alla battaglia di Capo Artemisio contro la coalizione ellenica, guidata dall'ateniese Temistocle e dallo spartano Euribiade. Questa battaglia navale, che fu combattuta contemporaneamente alla battaglia delle Termopili nell'agosto de 480 a.C., si risolse senza né vinti né vincitori. Artemisia, secondo Erodoto, si distinse in essa in modo "non inferiore" agli altri comandanti persiani.
Ma dove emerse per scaltrezza e ferocia fu nella battaglia navale di Salamina dove la flotta greca, guidata ancora da Temistocle e da Euribiade, stava aspettando gli avversari al varco (settembre 480 a.C.).
Nonostante l'inferiorità numerica, la flotta greca ebbe però la meglio su quella persiana, grazie alla strategia vincente dei suoi comandanti. Artemisia, vistasi ormai completamente perduta, mise in atto uno stratagemma che aveva già usato in altre occasioni, per salvare la sua vita e la sua nave ammiraglia. Ordinò quindi ai marinai di sostituire prontamente le insegne della nave, che riportavano i colori e i simboli della flotta persiana, con altri contrassegni che riportavano invece i colori ed i simboli della flotta greca. In questo modo le navi greche che si erano avvicinate alla sua ammiraglia la scambiarono per una trireme loro alleata, evitando quindi di attaccarla. Per perfezionare l'inganno, Artemisia ordinò al suo equipaggio di attaccare la nave che si trovava a lei vicina, ovvero la trireme comandata dal re di Calinda, Damasitimo, suo suddito e alleato. Questa trireme era quindi una delle cinque unità della sua flotta personale. La nave di Damasitimo, colta di sorpresa, fu rapidamente affondata e il re di Calinda trovò la morte in mare, ucciso dalla sua stessa comandante. Secondo il racconto di Erodoto, Artemisia aveva un conto in sospeso con Damasitimo per una questione riguardante l'Ellesponto, tanto che lo storico di Alicarnasso insinua che l'affondamento della nave alleata fosse stato in realtà una manovra del tutto intenzionale da parte della regina, che avrebbe così colto un'occasione d'oro per eliminare lo scomodo subalterno. In ogni caso, nessuno della nave affondata da Artemisia sopravvisse per poterla poi accusare formalmente.