ASPETTI GIURIDICI DELL'INTERVENTO IN KOSOVO

18.01.2014 23:17
 

 

L'intervento dell'Alleanza Atlantica in Kosovo pose seri problemi, in relazione alla sua conformità con la Carta delle Nazioni Unite e il Diritto Internazionale. Il sistema giuridico internazionale costruito dopo la fine della seconda guerra mondiale è basato sul principio del monopolio dell'uso della forza da parte delle Nazioni Unite, che lo esercitano principalmente tramite il Consiglio di Sicurezza. Pertanto, l'idea più diffusa tanto nell'opinione pubblica quanto tra i giuristi è quella che l'attacco, non autorizzato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, avrebbe costituito una grave violazione dell'articolo 24 della Carta che prevede il divieto dell'uso della forza nelle relazioni tra stati.

Nella struttura giuridica tracciata dalla Carta, solo il Consiglio di Sicurezza ha il potere di ricorrere legalmente alla forza nei casi da esso ritenuti opportuni (art. 42) mentre ai singoli stati è riservato, in forma residuale, solamente il diritto di agire in legittima difesa in caso d’aggressione armata (art. 51). Tale netta distinzione è rafforzata dall'articolo 53, in cui si proibisce espressamente alle alleanze a carattere regionali (qual è la Nato) di ricorrere all'uso della forza in assenza dell'autorizzazione del Consiglio di Sicurezza.

Sembra chiaro quindi che, stando alla lettera della Carta così com’essa fu formulata più di 50 anni fa, l'intervento Nato in Kosovo era da considerare illegale.

Le obiezioni che sono state avanzate a quest'interpretazione, rigidamente legalistica della Carta, riguardano da un lato il carattere estremamente flessibile del diritto internazionale, e dall'altro   le possibilità d’evoluzione del diritto internazionale stesso alla luce dell'affermarsi di nuovi valori nella prassi della comunità internazionale nell'ultimo decennio. Anche accogliendo la tesi dell'illegalità dell'intervento in Kosovo, se si studiano le modalità con cui l'intervento si è verificato, si può costatare come solo una sottile linea rossa ha separato la legalità dall'illegalità dell’intervento.

Se si assume come ipotesi di lavoro quella dell'illegalità dell'intervento armato in Kosovo ma la s’integra con le varie obiezioni che a questa tesi possono essere mosse (di tipo giuridico, di tipo evoluzionistico del diritto internazionale, di tipo metodologico) non si giungerà mai a sostenere la legalità dell'intervento NATO ma si dovrà necessariamente temperare e in qualche modo rivedere ogni rigida e manicheistica condanna che dell'intervento stesso può essere pronunciata in maniera esclusivamente legalistica.

In particolare, ogni volta che s’interpreta la Carta delle Nazioni Unite in maniera estremamente rigida, occorre tenere presente che essa è un documento di carattere non esclusivamente giuridico ma anche storico e politico. Solo alla luce di ciò si può comprendere come il fine principale della Carta, (art. I) è quello di mantenere la pace e la sicurezza internazionale mentre ogni altro fine - incluso quello della tutela dei diritti dell'uomo - è ad esso subordinato. Diversamente non poteva essere scritto in una Carta nata dalla tragedia della seconda guerra mondiale e mirante a cristallizzare la divisione del mondo, scaturita dalla guerra. E' chiaro dunque che la Carta tenda a privilegiare il mantenimento dello status quo rispetto ad ogni altra esigenza. Tuttavia, l'evoluzione delle relazioni internazionali in questi 50 anni e la fine della guerra fredda, hanno portato a maturazione altri valori ed altre esigenze che con difficoltà tentano di trovare la loro cornice legale all'interno del sistema giuridico internazionale, in assoluto uno dei sistemi giuridici più primitivo e conservatore. E' innegabile l'esistenza di una tendenza generale di modifica delle priorità e dei valori degli stati della comunità internazionale, e la maggiore attenzione alla tutela dei diritti dell'uomo non può che andare ad intaccare il principio di sovranità ed il diritto - una volta fortissimo, oggi sempre più messo in discussione - di non ingerenza negli affari interni.

Queste nuove tendenze sono chiaramente individuabili dall'atteggiamento tenuto dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nel corso della crisi del Kosovo. Sebbene il Consiglio non si sia spinto fino ad autorizzare l'intervento armato realizzato dalla Nato, esso in un certo qual modo ne ha posto le basi giuridiche, anche se per motivi d’opportunità politica (la volontà della NATO di non creare un pericoloso precedente giuridico all'uso della forza senza l'assenso del CdS, dove l'Alleanza gode di tre seggi permanenti) e d’opportunità strategica (la necessità di agire militarmente per evitare una catastrofe umanitaria che non consentiva di superare con un’iniziativa diplomatica il veto di Cina e Russia).